venerdì 14 gennaio 2011

L'ultima Borgata


Mario Sarotto, un architetto di 61 anni, s' imbatte per impegni di lavoro in una borgata della Valle Grana. Un luogo abbandonato a causa della durezza di una vita aspra ed impossibile da affrontare senza l’ausilio delle forti braccia degli uomini e dei giovani decimati da due guerre mondiali. Una comunità viva di cui resta un luogo svuotato della vita e celato dalla quiete della montagna. Strette strade chiuse tra le case che nel silenzio nascondono le voci dei bambini che correvano e giocavano. Case con letti ancora pronti per sonni che non verranno più consumati. Una scuola con i banchi allineati che non serviranno a nessun allievo. Una chiesa visitata da qualche vandalo di passaggio. Case di pietra costruite con fatica che, ancora oggi, trasudano la vita delle decine di famiglie che le abitavano. Questa è la Borgata Narbona oggi, un luogo dove il tempo si è fermato, in cui il silenzio lascia spazio per immaginare la vita che è stata.
Questo silenzio ha scavato nella sensibilità di Mario. La sintonia tra lui e la borgata è quasi immediata: dove tutti vedevano solo ruderi abbandonati lui invece ebbe la sensibilità di percepire un luogo ancora vivo per troppo tempo dimenticato e non accetta che quel passato possa andare perduto definitivamente. Provocatoriamente prende la residenza a Narbona e da sette anni la mantiene. Narbona è un luogo che Mario Sarotto ha deciso di non lasciar morire. Insieme alla Facoltà di Agraria dell' università di Torino ha cominciato a ritracciare le piste per gli alpeggi, per far ritornare i margari a pascolare le mucche per produrre il prestigioso formaggio Castelmagno ed ha studiato la possibilità di creare un ecomuseo di Narbona. Queste sono solo due delle innumerevoli iniziative di Mario a difesa di un luogo da vivere responsabilmente e civilmente.Questa è la storia di un intreccio tra la vita di un uomo e la vita di una borgata montana abbandonata, due percorsi che si sono uniti e che ostinatamente proseguono insieme il loro cammino.

DESCRIZIONE DEL PERSONAGGIO

Mario Sarotto

Sessantun anni, architetto. Temperamento da alpino. Un uomo legato alla terra con uno sguardo attento a quello che gli accade intorno. Un uomo di poche parole, determinato, riflessivo. Le sue origini contadine traspaiono nei suoi racconti, nei suoi gesti. I suoi occhi si riempiono di piacere quando può condividere con altri le sue avventure. Il suo amore per la montagna inizia in gioventù, quando andava a campeggiare con la parrocchia; da allora quel legame si è sempre rafforzato.
Circa dieci anni fa, durante lo studio per la realizzazione di piste montane, s’imbatte in una serie di borgate abbandonate. Inizia così un lento e meticoloso studio della zona. La sua natura di architetto lo porta ad analizzare in modo approfondito la conformazione del territorio e delle abitazioni. La sua sensibilità di uomo invece lo avvicina a quegli aspetti della vita montana che caratterizzavano quei luoghi.
Mario si approccia alla montagna con quella che lui definisce “filosofia montanara” che altro non è che un gioco di equilibri tra la natura e l’uomo. Egli è uno dei rari rappresentanti di quegli uomini antichi che vivevano in montagna, uomini che sapevano lavorare dall’alba al tramonto, rapportandosi con la terra, con la fatica e con la sofferenza che questa spesso gli infliggeva, eppure vivendo nel loro intimo una profonda gioia, quasi religiosa per il lavoro che stavano facendo. Mario sa cosa vuol dire dare e ricevere e sa che non sempre tra queste cose c’è un equilibrio, sa però che ogni impegno porta i suoi frutti solo con uno sforzo costante. Non si faccia l’errore di considerarlo un uomo mite e pacato; quando lotta per qualcosa in cui crede, non ha timore di spendersi o di esporsi. Per questo suo temperamento si è guadagnato l’appellativo di urbanista-contro, di cui confessa di andare fiero.
La sua volontà è quella di far rivivere le borgate abbandonate ed una in particolare, Narbona. Per raggiungere quest’obiettivo usa l’arma della provocazione, decidendo di prendere in affitto una di quelle case lasciate alla montagna e di richiederne la residenza.

APPROCCIO VISIVO.

L’ultima borgata è un film documentario ambientato in montagna.
Il contesto principale di questo documentario è rappresentato da essa e dalla Borgata Narbona in particolare. All’interno del film si svolge la storia di Mario Sarotto.
Il punto di vista degli autori sarà per lo più distaccato in modo da lasciare che la narrazione respiri il più possibile naturalmente. Gli autori cercheranno di porsi come osservatori invisibili che seguono l’azione. In altri momenti, specie durante le interviste, la loro presenza a livello di scelta di temi ed inquadrature sarà più netta, comunque volta alla funzionalità del documentario che è quella di scoprire il personaggio e la storia che lo caratterizza.
La telecamera seguirà il protagonista in modo ravvicinato ma al tempo stesso rispettoso dei momenti d’intimità che deciderà di concedersi nel suo speciale rapporto con i luoghi e le persone.
Si cercherà quindi di fare una scelta di fotografia volta a valorizzare la durezza dell’ambiente in cui il documentario si svolgerà. Grande importanza sarà data all’audio ambiente nella presentazione dei luoghi facendo risaltare i veri suoni della montagna ed i suoi “silenzi”, che accompagneranno la struttura narrativa nei momenti più riflessivi.

MOTIVAZIONI.

La storia di Mario Sarotto l’abbiamo scoperta dai giornali. Raccontare la sua personale esperienza di vita vuol dire per noi mettere in primo piano l’importanza della conservazione e del recupero della cultura alpina e delle capacità produttive dell’ambiente montano che ormai, in alcuni luoghi come la Valle Grana, si sta pian piano perdendo.
In tutto questo Mario è totalmente coinvolto sia dal punto di vista puramente tecnico (è colui che sta recuperando le vie alpine) che emotivo; secondo lui infatti una montagna siffatta deve restare nella memoria ed insegnarci che non possiamo più identificarci con essa, ma dobbiamo trarne tutto quello che è possibile, non modificando nulla, lasciando che la montagna si riprenda le “sue” pietre.
Noi appoggiamo totalmente questa sua filosofia convinti che la nostra opera possa dare un contributo aggiuntivo a questa battaglia e soprattutto sia uno strumento che aiuti lo spettatore ed il fruitore della montagna a riconciliarsi con essa.
Pensiamo inoltre che la ricostruzione filologica del processo di vita montano interrotto a causa dei morti di guerra e dello spopolamento causato dallo “statalismo” e dalla ristrutturazione industriale, potrà dare utili insegnamenti per un ritorno equilibrato e rispettoso alla montagna.
L’ultima borgata s’inserisce quindi perfettamente in questo spirito di recupero dell’ambiente montano raccontando l’esperienza unica di un uomo che non rinuncia al presente, ma che sta fortemente arroccato alle tradizioni, perché è da lì che tutto è partito.

BIOFILMOGRAFIE DEI REGISTI

FABIO MANCARI nasce a Lamezia Terme nel 1977. Diplomato in flauto traverso, si laurea nel 2002 al DAMS di Torino in Teoria e tecnica del linguaggio audiovisivo. Dopo aver trascorso alcuni anni a Milano come montatore per Sky Sport e Mediaset Premium, si trasferisce a Torino come realizzatore per il canale tematico Juventus Channel. Parallelamente svolge l’attività di operatore - montatore per documentari e cortometraggi e tiene corsi di introduzione alla cinematografia per insegnanti nelle scuole elementari e studenti delle scuole medie superiori. Dal 2006 fa parte con Alberto Cravero della Stuffilm Creativeye. Nel 2010 con il film documentario “Vetro Piano” è in concorso ai David di Donatello 2010 nella categoria documentari di lungometraggio. Nel 2010 firma la regia del documentario “Angelo Farchetti.Ange di Maigre”, prodotto dal Comune di Moiola, dalla Comunità montana Valle Stura e dalla Provincia di Cuneo.
Filmografia:
2004, Gnomus
2005, Fiori d’arancio
2006, Bobo’s World, Bobo’s 10
2007, Piantè Magg
2008, Uominichini
2009, Vetro Piano – In concorso ai David di Donatello 2010
2010, Io mi ricordo quel giorno di dicembre, Angelo Farchetti. “Ange di Maigre”.
Premi:
“Gnomus” – Miglior video sperimentale al Val Susa Film Festival 2004
“Io mi ricordo quel giorno di dicembre” – Menzione Speciale a Filmare la Storia 2010

ALBERTO CRAVERO nasce a Bra nel 1978. Giocatore di hockey su prato, è laureando in Ingegneria presso il Politecnico di Torino. Parallelamente svolge attività artistica come scrittore e fotografo. Secondo classificato al Concorso Letterario “Sudate carte” del 2005 con l’opera “Neve sperma”. Pubblica sulla rivista Brothers & Sisters di Smemoranda l’opera “Palcoscenici: storie di pesci e uomini in piccoli spazi di convivenza”. Nel 2006 fonda insieme a Fabio Mancari la casa di produzione video Stuffilm creativeye. Nel 2010 con il film documentario “Vetro Piano” è in concorso ai David di Donatello 2010 nella categoria documentari di lungometraggio.


Filmografia:
2006, Bobo’s World, Bobo’s 10
2007, Piantè Magg
2008, Uominichini
2009, Vetro Piano – In concorso ai David di Donatello 2010

http://www.stuffilm.com

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